Rinascita del privato
MAST, acronimo di Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, rappresenta la sintesi di un ardito rinnovamento delle relazioni tra cultura d’impresa e società. La fondazione no-profit Mast, fortemente voluta da Isabella Seragnoli, erede della dinastia imprenditoriale bolognese e azionista unica del Gruppo Coesia, una holding di aziende di macchine automatiche di ingranaggi di precisione, è pervasa da una concezione etica e ottimistica dell’esistenza e dei rapporti interpersonali, dei legami tra individuo e società che trovano un precedente ancora fecondo nell’Umanesimo rinascimentale (C. Conforti).
In quest’ ottica di fervente rinascita intellettuale, nel 2005 venne bandito il concorso al quale furono invitati a partecipare gli studi 5+1AA, LDB, Cino Zucchi, Mario Cucinella e Labics. Questi ultimi superarono la seconda fase di giudizio; fu lo studio romano, e non il bolognese ad aggiudicarsi l’incarico di elaborare il progetto.
Joy-n functions
L’edificio fonde all’interno i dati funzionali, imposti dal concorso: essi mirano ad un progetto di trasformazione di un’area dismessa, inserita nel quadrante nord-ovest di Bologna, che fronteggia l’accesso al parco del Reno; le attività proposte dovranno essere tanto al servizio degli impiegati quanto dei cittadini. L’interpretazione data risulta chiara: l’edificio – dal carattere urbano– rifugge la dimensione oggettuale e auto-rappresentativa per essere servizio a disposizione della comunità (Labics). Differenti e molteplici funzioni previste dal programma si armonizzano, senza mai entrare in dissonanza; la mediazione è resa tale dalle sequenze spaziali tramite flussi e percorsi ben studiati. L’asilo nido, il ristorante aziendale, il wellness center, gli spazi espositivi, l’auditorium, la caffatteria e l’academy convivono in un unico organismo identitario: una ibridazione di funzioni che ha scartato l’ipotesi più convenzionale di un aggregato di corpi edilizi, per adottare un volume parallelepipedo (C.Conforti). Il forte carattere urbano dell’edificio si legge nell’organizzazione delle funzioni, generatrici dello spazio, in analogia alla città dove gli assi stradali, interni ed esterni, disegnano ed individuano i differenti volumi, mettendoli in relazione ed instaurando connessioni e dinamiche. Un corpo, quindi, immaginato -come dice Dal Co- come centro di aggregazione e di scambio tra il complesso produttivo da cui ha tratto origine e la città.
Il volume percorso
Il corpo del prospetto principale riceve il pubblico, proteso su Via Speranza, e si affaccia sul giardino dominato da una scultura alta quasi quanto l’edificio, l’Old Grey Beam di Mark di Suvero, accogliendo le due grandi rampe di ingresso, che dall’esterno si estendono fino al cuore dell’edificio. Da qui è possibile raggiungere le sale espositive e le aule al primo piano, e da questo, accedere al secondo, tramite un piano inclinato in cui si trovano l’auditorium e il foyer, sul quale gravita una sfera caleidoscopica, la Collective Movement Sphere di Olafur Eliasson. Attraverso un vuoto a tutta altezza, si ridiscende al piano primo verso la caffetteria, ritornando all’atrio di ingresso. Questo è il luogo in cui si percepisce la commistione ordinata di funzioni, rivolte principalmente ai dipendenti, che vengono dislocate al piano terra: da una parte il ristorante aziendale e il circolo aziendale e dall’altra l’asilo, con ingresso indipendente, e il wellness center, aperti sia alla realtà aziendale e sia al pubblico. Ogni spazio tende a confluire in un altro dall’interno all’esterno e viceversa, scardinando ogni griglia architettonica, aprendosi verso la città e l’azienda: viene quindi riformulato e ricomposto il rapporto tra pubblico e privato. Il diverso trattamento dei due fronti principali danno voce a questa relazione biunivoca:uno, rivolto verso il campus aziendale, dialoga e si insinua come continuazione nel contesto; l’altro si apre verso la città, accogliendo le lunghe rampe che dalla strada invitano il pubblico ad essere percorse.
La pelle
L’edificio non ha finestre né porte, ma allo stesso tempo è permeabile, perché trapassato dai flussi e dai percorsi orizzontali e verticali . L’unitarietà percettiva è qui donata, come anche in Città del Sole, dalla scelta della neutralità dei fronti. Questa interpretazione compatta e quasi aleatoria dell’involucro, viene abbandonata da Labics in relazione al trattamento del blocco inerente all’asilo nido, l’unica funzione che gode della riconoscibilità nella visione di sfondo del complesso.
“Questa architettura si sottrae allo statuto tradizionale dei prospetti gerarchicamente definiti. Ma non è una scultura a scala ipertrofica, piegata quasi casualmente a usi funzionali. È e rimane un’architettura a pieno titolo. Tendenzialmente estroversa ed espansiva, l’architettura di MAST rivela in controluce l’ascendenza barocca dei suoi ideatori, che ne hanno concertato la molteplicità prospettica e le magie luministiche” (C. Conforti).