Nel 1932 la Società Tirrena bandisce un concorso per la progettazione e la sistemazione urbanistica di 15 villini signorili su un lotto di forma trapezoidale sul lungomare Caio Duilio. Rivolto agli architetti e agli ingegneri della capitale, tale concorso è l’unico di quegli anni ad affrontare il tema della residenza ed apre le porte a quello che sarà uno dei temi tipologici più marcatamente romani: la palazzina. Vengono assegnati tre premi, Libera ottiene il terzo posto, ma l’attribuzione degli incarichi di progettazione esecutiva non rispetta gli esiti del concorso, alcuni progettisti vengono rimpiazzati e ne consegue che l’organizzazione urbana dell’area perde il suo disegno unitario a cui far riferimento. A Libera viene comunque affidata la realizzazione di tre tipi di villini: i tipi A e B a tre livelli e collocati nel lotto di concorso, mentre i due edifici del tipo C, a cinque piani, furono collocati in un’area più interna, nei pressi della linea ferroviaria Roma-Ostia.
Il Villino tipo B si sviluppa su tre livelli con accesso lungo Via Capo Corso. Un unico corpo scala serve il blocco dell’edificio e si distingue, con una plasticità curvilinea e svettante, dal volume puro dell’intero organismo architettonico.
L’edificio presenta molte similitudini con il tipo A, come ad esempio l’organizzazione planimetrica ed il corpo scala racchiuso da un volume semicilindrico. La composizione in pianta prevede una suddivisione di quadrati all’interno di un rettangolo aureo. Dalle piante è evidente la distinzione tra la zona giorno verso il mare e la zona notte verso l’entroterra. Tale ripartizione si riversa anche nella distinzione tra un prospetto principale più “rappresentativo” verso il litorale ed uno opposto più “essenziale”. La zona giorno (Sud Ovest) gode, così, di un affaccio diretto sul mare, incentivato dalla presenza di lunghi balconi, che all’ultimo livello si trasformano in una profonda terrazza loggiata che avvolge tutto il prospetto principale e termina lateralmente con la presenza di balconi laterali. Al di sotto del loggiato i balconi in aggetto servono le camere da letto. Questi balconi, giocando sul forte sbalzo e sulle forme aerodinamiche, conferiscono incredibile movimento plastico ai rigidi prospetti laterali e costituiscono un evidente rimando all’architettura navale.
La facciata rispetta una rigorosa simmetria e prevale l’andamento orizzontale, accentuato dagli stessi balconi e dallo svuotamento d’angolo dell’ultimo piano. Le balconate sono progettate nel dettaglio e utilizzano nei parapetti una stessa regola costruttiva. Libera porta così omogeneità all’intero sistema e richiama ad evidenti echi nautici nella scelta del materiale metallico e smaltato di bianco e nella ricercata operazione di smussamento degli angoli. Non è un caso che negli stessi anni Italo Balbo condurrà formazioni di idrovolanti italiani ad ammarare nelle baie di Rio De Janeiro e New York, conferendo interesse economico e sociale ai progressi dell’aeronautica italiana.
La struttura è in calcestruzzo armato e concentrata su pochi punti e nuclei resistenti: la scala, i setti ed il sistema di pilastri dell’ultimo livello.
Nei villini di Ostia giungono ormai ad una piena maturazione alcuni temi compositivi che Libera stava sviluppando in quegli anni: “la definizione architettonica del coronamento (si veda l’ultimo piano), l’arrotondamento delle superfici d’angolo, la presenza di dettagli fortemente dinamici (la presenza dei balconi sul fianco)” (Rossi) “[…] realizzati in quella che la critica ha unanimemente riconosciuto come la fase di maturazione del linguaggio di Adalberto Libera, i villini di Ostia sono le sue prime opere romane. Nonostante il degrado e le manomissioni subite, rimangono tra gli esempi più significativi del razionalismo a Roma” (Veresani).